giovedì 17 luglio 2008

L'ultimo no - 4

Il giorno dopo a lavoro fu tutto normale, tranne il mio orario di uscita.
Alle 17:30 decisi che per quel giovedì sarebbe bastato, niente straordinario una volta tanto, e così chiusi il pc, salutai tutti e mi avviai all’uscita.
Spesso nella vita si prendono particolari decisioni, semplici o difficili, banali o importanti, meditate o impulsive ma tutte caratterizzate dalla sfera in cui si trovano: esistono solo nella nostra testa, o per meglio dire, nelle nostre intenzioni. Per pigrizia, o più probabilmente per paura, non trovano nessuna attuazione nella vita reale, rimanendo confinate nell’ambito del “dovrei ma“, “del potrei se”. Poi un giorno, in maniera del tutto inattesa, si verifica un episodio, ci si imbatte in una circostanza per cui la vita inizia a scorrere in maniera particolare e, di colpo, si mette in pratica una di queste decisioni, senza alcuna esitazione, per cui alla fine ci si chiede come è stato possibile non averlo fatto prima.
L’episodio per me, quel pomeriggio, fu incontrare Toscani all’uscita.
"Buona sera dottore", fu il mio saluto, più distaccato che rispettoso.
"Buona sera signor Rossi, va già via?".
Il tono di quel già fu un suono stridulo e pungente.
"Si, vado a casa"; la naturalezza con cui risposi fu per Toscani, evidentemente, un vero affronto.
"Signor Rossi le faccio presente che con tutto il lavoro che abbiamo andare via a quest’ora è davvero irresponsabile".
Toscani, tra i suoi tanti difetti, ne aveva uno in particolare, quello di alzare la voce quando si trattava di riprendere qualcuno in modo che altri sentissero e lui avesse il suo palcoscenico da primo attore; così quelle parole furono proferite con un tono crescente, fino a raggiungere il culmine sulla parola irresponsabile, quasi gridata.
Fu un attimo, nel corso del quale avevo chiare le risposte che potevo dare, ma non ebbi nessuna esitazione nel prendere una di quelle decisioni che gravitavano solo nell’orbita delle intenzioni.
"Dottor Toscani, innanzitutto, le faccio presente che per lei sono il dottor Rossi; visto che in Italia un dottore non si nega a nessuno, mi riapproprio almeno del mio titolo".
Sorpreso dalla mia risposta, cercò di replicare ma lo stoppai prontamente.
"La parola responsabile, pronunciata da lei, fa davvero uno strano effetto; le sembra per caso responsabile, da parte sua, obbligarci allo straordinario ben sapendo che l’azienda non lo paga se non con la promessa vaga di permessi retribuiti, che, per quanto ne so, nessuno mai è riuscito ad avere; le sembra responsabile controfirmare le nostre buste paga, che guarda caso, mancano sempre di qualche voce obbligatoria a noi favorevole; e mi dica, le sembra responsabile da parte sua lasciare senza lavoro un ragazzo solo perché è più bravo degli altri e non ha la forma mentis dello schiavo?".
"Ma sig…dottor Rossi, come si permette? Stia pur certo che questa discussione avrà un seguito!".
"Infatti! Domani avrà la mia lettera di dimissioni".
Scesi per strada a grandi falcate, in attesa dell’ansia, il tremolio e il panico che sempre mi assalivano dopo un litigio; e invece fui invaso da un senso di leggerezza, di tranquillità.
Era strano da realizzare ma era proprio così: stavo bene.
Avevo quasi paura di quel benessere, ma, nonostante ciò, riuscivo a goderne appieno.
Appena arrivato a casa cercai Laura; era in cucina, e non appena mi vide mi chiese:
"Cosa è successo?"
Quella domanda, in cerca della quale del resto ero tornato subito a casa, mi riempii di gioia: avevamo ritrovato l’antica intesa, quando bastava uno sguardo per capire lo stato d’animo dell’altro.
Mi sedetti affianco a lei sul divano, feci un lungo respiro e iniziai.
Parlai per quasi un’ora, senza che Laura osasse interrompermi.
Le raccontai del lavoro, ma soprattutto le raccontai di me.
Finii di parlare con gli occhi umidi; lei, invece, aveva grandi lacrime che le solcavano le guance.
"E adesso…?", fu l’unica cosa che riuscì a dire.
"E adesso mi trovo un altro lavoro. Comunque farò causa all’azienda, non mi interessa dei soldi devono capire che non possono fare quello che vogliono senza temere nulla. Nostro figlio dovrà poter dire che suo padre ha tanti difetti, non certo voltare la faccia dall’altro lato davanti alle ingiustizie".
Laura mi guardò in silenzio, poi, abbracciandomi forte mi sussurrò:
"E’ questo l’uomo di cui mi sono innamorato. Bentornato piccolo grande uomo!".



Con quest'ultima parte si chiude il mio racconto. So bene di non essere Hemingway, nè di aver realizzato un capolavoro, ma, ad ogni modo, spero l'abbiate apprezzato.
A presto, ciao!

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